lunedì 23 gennaio 2012

Il Castello d’acqua


TRAMA: "L'Esposizione torinese di cui si parla nel romanzo "Il Castello d'Acqua", che Mario Lattes (1923-2001) ha lasciato inedito tra le sue carte, è quella Universale del 1911. C'è dunque un tempo, c'è un décor, c'è una famiglia, c'è un protagonista, c'è una terza persona che racconta. Ma tutto si muove in una dimensione "altra", simbolica, di allarme e di attesa senza fine. Concepita come lo sfondo lungo il quale navigano brandelli di mondo e di figure (la Belle Époque, il fascismo, l'impero, la guerra di Spagna, le leggi razziali, la seconda guerra mondiale), la storia si converte nella dimensione visionaria del miraggio." (Giovanni Tesio)


RECENSIONE: Non è facile accostarsi alla lettura de Il Castello d’acqua. Non è facile impossessarsi delle decine, delle centinaia di parole che servono a descrivere un disagio, e che sembrano inseguire, talvolta con affanno, i ricordi.
Mario Lattes, a detta dei suoi biografi, fu un autore “scomodo”: amato dalla critica ma sconosciuto al grande pubblico.  Si cimentò anche nella pittura, e suo è il quadro (La Torre di Babele) riprodotto in copertina.
Questa è un’opera inedita, pubblicata a tre anni dalla morte del suo autore. È una storia autobiografica; quella di un ragazzo d’origine ebrea, che condurrà con successo, fino all’ultimo, la celebre casa editrice torinese “Lattes”.
Torino, appunto. La città fa da sfondo al racconto delle vicende di Agur e dei membri della sua famiglia. Il capoluogo si riconosce nella descrizione dei palazzi, nella quasi maniacale elencazione delle vie, il cui nome, in parte, non esiste più: il tempo ha provveduto a cancellarlo e a sostituirlo.
Torino ha dato i natali a grandi scrittori; fra questi, Cesare Pavese, Primo Levi, Pitigrilli. Gli ultimi due erano di origine ebrea, come lo fu Natalia Ginzburg, palermitana, ma torinese di adozione. Superfluo aggiungere che la comunità ebrea, in Italia e nel resto del mondo, ha sempre prodotto cultura: “L'abitudine a leggere, scrivere e studiare agevola l’integrazione con la cultura circostante”.1
Anche la Storia fa da sfondo al romanzo di Lattes, che inizia con una data precisa, quella dell’Esposizione Universale di Torino, nel 1911. I suoi protagonisti si aggirano fra i padiglioni della grande Mostra, perdendosi e ritrovandosi; e muovendosi quasi in una dimensione onirica, là dove invece imperano la realtà, il Progresso.
E poi la Storia: la Grande Guerra, il ventennio fascista prima e le leggi razziali poi, fino alla fuga di Lattes/Agur, e la sua salvezza (troverà rifugio a Roma, e sarà più fortunato di tanti altri ebrei che saranno invece deportati).
Questi importanti avvenimenti fanno da cornice ad una narrazione complessa e sofferta.
La scansione temporale è data, piuttosto, dalla minuta descrizione (a volte impietosa, come può esserlo quella di un giovane, di fronte alla vecchiaia) fatta da Agur sull’incanutirsi delle chiome e l’avvizzirsi della pelle dei propri cari. Anche l’elenco dei diversi arredi: “… stoffa che foderava la toilette, velata di tulle bianco a incrostazioni di mussola (…)” e “ (…) già presenti il sofà Covercover in Rofoam strato isolante di Dacron (…) le sedie accatastabili in Cyclac rosso.” indica, senza dover ricorrere ad altre parole, il trascorrere del tempo.
Agur appare insofferente alle regole, talvolta distaccato, insensibile nei confronti dell’altrui sorte. Nei ricordi dell’autore si affastellano frasi ascoltate e ripetute per anni dai congiunti o dagli amici di famiglia, motti e gesti che si sono poi conservati nella sua memoria: inevitabile il richiamo a quel Lessico familiare della già citata Ginzburg, che peraltro trascorse parte della sua vita proprio nella Via Pallamaglio (ora Via Morgari) citata dallo stesso Lattes.
Il nostro autore racconta una familiarità che è tutta contenuta nel rito pasquale delle azzime, nella lettura dei versi al Tempio, nella scelta del vestiario.
La difficile punteggiatura, le esclamazioni che erompono a metà pagina, il balletto dei caratteri minuscoli e maiuscoli non impauriscano il lettore.
Della scrittura di Lattes ci si può lentamente impossessare. Centellinandola, assorbendola.
Allo stesso modo si può fare con la storia della sua vita.



Titolo: Il Castello d’acqua 
Autore: Mario Lattes
Editore: Aragno
Anno: 2004
Genere: Narrativa
Giudizio: Buono

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