martedì 7 febbraio 2012

L'iguana


Il romanzo di Anna Maria Ortese, L’iguana, si compone di ventiquattro capitoli, i cui primi otto uscirono a puntate sul “Mondo” fra l’ottobre e il novembre 1963. Il libro fu poi pubblicato da Vallecchi nel 1965.
La trama è allegorica e di non semplice interpretazione, perché caratterizzata dai continui passaggi dal piano della realtà a quello del fantastico, e da una difficile collocazione temporale. Questo, in breve, il sunto.

Don Carlo Ludovico Aleardo di Grees, dei duchi d’Estremadura Aleardi, nonché conte di Milano, intraprende un lungo viaggio attraverso il Mediterraneo, alla ricerca di nuove terre da acquistare. Egli è un affermato architetto, e compie la sua annuale crociera nell’intento, su suggerimento materno, di arricchire il patrimonio di famiglia. Daddo, così è altrimenti chiamato il conte, è spinto anche da un altro progetto: quello di ritrovare, per poi dare alle stampe, qualche scritto inedito. Adelchi, giovane editore, amico milanese del Daddo, è, infatti, alla ricerca di un prodotto che possa sorprendere il pubblico: un’opera, come suggerisce egli stesso, che “manifesti la rivolta dell’oppresso”.
Il panfilo del conte salpa alla volta della Sardegna, prosegue poi lungo la costa spagnola, e giunge, alla fine, nei pressi di alcune isole portoghesi. Una in particolare, non segnata sulla carta nautica, sembra destare il suo interesse. Si tratta dell’isola di Ocaňa, un piccolo promontorio a forma di “corno”, sulle cui spiagge Daddo approda senza indugio, attratto dall’aspetto forse un poco sinistro del luogo.
Qui incontra il marchese don Ilario Jimenez, con i suoi fratelli Felipe e Hipolito. Costoro, della casata dei Guzman, sono i proprietari dell’isola, sulla quale vive anche un’altra creatura: trattasi di una donna-rettile, un’iguana, per la precisione, che ha il compito di badare all’umile dimora del marchese. Il conte Aleardo, mosso a compassione per la sorte della servetta, decide di prendersi cura di lei, e per fare ciò si dice disposto anche a riscattarla, per poi condurla con sé a Milano. Nel frattempo, approfondendo la conoscenza con Don Ilario, Daddo scopre che il marchese si diletta nella composizione di alcuni poemi. Le sue liriche, dal sapore antico, richiamano alla memoria ben altri capolavori, ma appaiono al conte Aleardo meritevoli di una tale considerazione, da fargli vagheggiare futuri successi editoriali in patria. La prospettiva di un immediato e sostanzioso guadagno non sembra però interessare Don Ilario e i suoi fratelli: caduti ormai in miseria, i signori dell’isola si sono ridotti a venderla ad una facoltosa famiglia. Il contratto sarà suggellato dal matrimonio di Don Ilario con la figlia dei ricchi acquirenti.
L’unico problema resta l’eventuale sistemazione dell’iguana, cui in passato il marchese sembra essere stato molto affezionato: un sentimento che, per misteriose ragioni, è poi mutato, fino a trasformarsi in repulsione e ostilità, tanto da degradare l’animale al ruolo di sguattera.
Nell’arco di un solo giorno gli eventi precipitano, ad un punto tale da condurre il conte alla soglia della pazzia. Egli, colto da strane visioni, non riuscirà più a distinguere tra la dimensione della realtà e quella del sogno. Infine, in pieno delirio, troverà la morte cadendo nel pozzo, nell’estremo tentativo di salvare l’iguana.

Il simbolismo de L’iguana coincide con la scelta stessa dell’animale come protagonista (l’essere ambiguo, tema caro all’Ortese, ricorrerà anche nell’altra sua famosa opera, Il Cardillo innamorato). Sotto svariate forme, sia che si tratti di una donna-rettile, o di un serpente, o di una lucertola (che, sebbene in miniatura, rimanda ad un altro essere fantastico, il drago), tutti questi animali rappresentano l’emblema stesso del male, la sua incarnazione. È inoltre superfluo ricordare come la natura negativa e doppiamente tentatrice del serpente e della donna siano di chiara derivazione cristiana. Nel caso specifico, però, l’iguana fa parte della categoria degli oppressi, e non degli oppressori. Quasi priva della parola (salvo qualche interiezione: i suoi “nao, nao, nao…”), essa accetta di buon grado quello che il destino le riserva; nel suo sguardo - gli occhietti “scuri e dolorosi” - si può leggere tutta la sua rassegnazione.
Paola Azzolini1, esaminando il testo dell’Ortese, suggerisce altre metafore: fra queste, il pozzo, luogo spesso citato nelle antiche fiabe, che a sua volta rimanda all’acqua, elemento cui l’iguana ineluttabilmente appartiene. L’impossibile accoppiamento fra l’uomo e la bestia, altro tema tipicamente fiabesco: da qui la redenzione dell’iguana, che, grazie al sacrificio finale di Daddo, si trasformerà in una vera e propria donna.

Questo leggiamo nell’affettuosa e partecipe introduzione che il poeta Dario Bellezza, amico fraterno, dedica ad Anna Maria, in un’edizione de L’iguana datata 1978:
Nella polemica fra natura e cultura la Ortese ci da in regalo questo essere mostruoso, mezzo umano e mezzo animale, che sa soffrire e piangere come in un’infanzia smarrita la certezza di un bene inarrivabile anche se qualcuno pensasse di attribuirsi il Male.”2
Bellezza si riferisce alla denuncia, neppure troppo velata, che l’Ortese inserisce nelle prime pagine de L’iguana: “(…) vale la pena di accennare ad una strana confusione che dominava allora la cultura lombarda, e condizionava perciò l’editoria, su ciò che si deve intendere per oppressione e conseguente rivolta. (…) i Lombardi avevano per certo che un mondo oppresso abbia qualcosa da dire (…)”

Miseria, dolore, solitudine costellarono la vita di Anna Maria Ortese, scrittrice autodidatta ed appartata, per quanto vincitrice di alcuni Premi letterari. La vita e la scrittura furono per lei inscindibili, anche se, nei rari casi in cui non riuscì ad onorare i propri impegni, non mancò di entrare in polemica con le stesse case editrici per cui lavorava. Questo, infatti, soleva dire di sé: “Si scrive perché si cerca compagnia, poi si pubblica perché gli editori danno un po’ di denaro”.
Fu per sottrarsi alla sua triste realtà, che cercò rifugio nell’immaginazione: la dolce, esotica storia dell’iguana ne è un mirabile esempio.
1 Cfr. P. Azzolini. http://www.storiadelledonne.it/attanasio/azzolini.html
2 Dario Bellezza – Introduzione a L’iguana – Rizzoli Editore Milano 1978

Dopodomani


TRAMA: Due amici si incontrano dopo anni di lontananza. Un vecchio smagrito come un chiodo che nuota in un mondo tutto suo. Un tipo con gli occhi di pietra scavata che, di traverso alla morte, trova la vita. Valentina che a sedici anni è madre di due gemelli. L’Olanda. Un motorino. Gli zoo, giardinetti di periferia. Il mitico bidello con la caramella in bocca. Una psicologa in versione Tinto Brass …

RECENSIONE: “Dopodomani è un intrecciarsi delle storie di tre ragazzi molto diversi, alla ricerca di un senso, di una bussola nella vita.” 1
Sono le stesse parole dell’autore a fornirci una traccia per la lettura della sua ultima fatica, in ordine di tempo, pubblicata da “Il Foglio”.
A soli ventiquattro anni, infatti, Luca Pizzolitto è già al suo terzo lavoro: un romanzo, Ballando al buio pubblicato nel 2002 e un’antologia di racconti, Cielo giallo, mare blu, uscita nel 2003.
Ora è la volta di Dopodomani: una storia, o meglio, più storie, ambientate nella periferia di Torino.
Il tutto è registrato con gli occhi e le parole di un diciannovenne: la naja, lo studio, la famiglia, gli amici, l’amore, l’impegno sociale.
Un linguaggio che corre veloce, e sembra non doversi fermare mai.
Matteo è la voce narrante: il vortice dei suoi pensieri, delle sue parole, investe il lettore. Musica, letteratura, filosofia: Pizzolitto da prova di esserne un consumatore onnivoro.
Le citazioni vanno da Buzzati, a Bakunin, a Pennac; passando per Il grande Gatsby di Fitzgerald, Italo Calvino, la logica di Hegel e, buon ultimo, Friedrich Nietzsche.
Per non dimenticare i Clash e i Velvet underground.
I dialoghi sono serrati, i personaggi sufficientemente tratteggiati: gli si può rimproverare solo qualche leggera sbavatura, qualche tono enfatico, che il tempo e l’esperienza provvederanno sicuramente a sanare.
Dopodomani è un romanzo da consigliarsi soprattutto a chi ventenne non è più.
Può rappresentare un piccolo saggio, utile, però, ad aprire una breccia, attraverso la quale conoscere i sogni, e le paure dei giovanissimi. Utile, magari, anche a comprenderli.
1 http://www.stradanove.net/news/testi/vips-03a/vaspa2703030.html




Titolo: Dopodomani
Autore: Luca Pizzolitto
Editore: Ass. Culturale Il Foglio
Anno della prima pubblicazione: 2004
Genere: Narrativa
Giudizio: Buono

Il buio e la colomba. Storie del presente remoto


TRAMA: In questo volume, sono contenuti i racconti che hanno vinto il premio Giuseppe Giusti per la narrativa inedita (2000) e altri, che hanno ricevuto, singolarmente, altri premi e segnalazioni. "Il buio e la colomba": premio "In-edito Holden" e un premio al Ceppo Proposte; "Il ventiseiesimo colloquio", secondo classificato al premio Lovecraft; "Con la luna e senza luna, signor tenente" e "Carne", pubblicati nell'antologia "Onda lunga"; "L'assedio e la cometa" finalista nel concorso "Le storie del novecento"; "Memoria esaurita", vincitore del premio Holden - Giallo Cremona"; "Il dodicesimo anniversario", finalista del premio Pordenone.it. La raccolta include inoltre racconti più recenti.

RECENSIONE Basta sfogliare Il buio e la colomba per entrare in contatto con un intero universo: quello che l’autore identifica col “presente remoto”, come evidenziato nel sottotitolo.
La narrazione di Selleri non può certo dirsi rilassante, anzi, più spesso lascia perfino sgomenti; eppure è trascinante, davvero coinvolgente.
Il libro è popolato da uomini in giacca e cravatta, giovani schiavi ai semafori, ragazzi di strada, impasticcati e ladruncoli per necessità, prostitute; amanti gelosi, amanti assassini, amanti assassinati.
Gli ambienti sono fra i più diversi: i motel, i quartieri residenziali, i cantieri abbandonati, la metropolitana, l’aperta campagna.
Ai racconti di Selleri ben si adatta una definizione che appartiene a Flannery O’ Connor: “Un racconto implica sempre, in forma drammatica, il mistero della personalità” 1.
Quasi tutti i personaggi, sia quelli solo abbozzati, sia quelli meglio descritti, paiono avvolti in un alone di mistero. Sono tutti caratterizzati da una solitudine che non è puramente e solo fisica, ma che sembra appartenere più all’anima che al corpo; una solitudine che sovente si traduce nella mancanza di una qualsiasi forma di moralità.
Il sangue scorre a fiumi, imbrattando gli eleganti divani di lindi appartamenti borghesi, le anonime stanze d’albergo, il sudicio asfalto delle tante periferie che incombono sulle metropoli.
Si resta impotenti di fronte a tanta efferatezza; passando da una storia all’altra (una sequenza simile a quella di tanti cortometraggi) si prova talora un senso di smarrimento, sebbene, dei fatti narrati, si possa solo restare increduli testimoni.
La morte è spesso preceduta dal sesso, se non addirittura a questo inesorabilmente collegata. D’altra parte, se il trapasso non avviene in modo violento, esso è in ogni caso indotto da una vita d’eccessi o da speranze andate irrimediabilmente deluse.
L’autore è senz’altro dotato di grande padronanza linguistica, e non solo perché spazia fra i vari dialetti, la parlata gergale e quella colta, ma soprattutto perché riesce ad interpretare, efficacemente, i singoli punti di vista del variegato mondo che rappresenta.
Ad esempio: la maestria dello scrittore raggiunge il suo apice dove riesce a rendere convincente finanche il pensiero estetico di una … tazza di porcellana.
Ne La padrona, infatti, il commento del dramma che si sta consumando è affidato all’oggetto che si trova riposto in una credenza, e che funge, suo malgrado, da spettatore; beffardamente, per altri protagonisti (più) “umani” del libro, non si può vantare lo stesso raziocinio, come nel caso di Con la luna o senza la luna, Signor tenente.
Oppure si pensi alle voci che descrivono il cantiere abbandonato – nel quale hanno trovato rifugio – e che appartengono a creature fra loro del tutto dissimili; due cani randagi ed una ragazzina che, per sopravvivere, è costretta a prostituirsi.
In altri racconti, invece, il segnale di una lucida follia, o dell’effetto distruggente della droga, è dato dall’incalzante ed ipnotico ripetersi d’alcune esclamazioni (Il merlo d’Augusta, La bella morte); fatta eccezione per Memoria esaurita, nel quale il riproporsi dell’identica frase costituisce il fulcro della narrazione stessa.
Resta al lettore il compito di interrogarsi sulla realtà che gli si mostra: essa è aderente alla nostra quotidianità, oppure è un poco romanzata?
Su di un importante particolare, ad ogni modo, io credo, si può essere concordi: Il buio e la colomba è una raccolta di bellissimi racconti.
1 F. O’ Condor : Nel territorio del diavolo – Ed. Minimum fax Roma pag. 63


Titolo: Il buio e la colomba. Storie del presente remoto
Autore: Selleri Aldo
Editore: Lampi di stampa – Collana: I libri di Alice.it
Anno della prima pubblicazione: 2004
Genere: Narrativa
Giudizio: Ottimo