Il
romanzo di Anna Maria Ortese, L’iguana,
si compone di ventiquattro capitoli, i cui primi otto uscirono a
puntate sul “Mondo” fra l’ottobre e il novembre 1963. Il libro
fu poi pubblicato da Vallecchi nel 1965.
La
trama è allegorica e di non semplice interpretazione, perché
caratterizzata dai continui passaggi dal piano della realtà a quello
del fantastico, e da una difficile collocazione temporale. Questo, in
breve, il sunto.
Don
Carlo Ludovico Aleardo di Grees, dei duchi d’Estremadura Aleardi,
nonché conte di Milano, intraprende un lungo viaggio attraverso il
Mediterraneo, alla ricerca di nuove terre da acquistare. Egli è un
affermato architetto, e compie la sua annuale crociera nell’intento,
su suggerimento materno, di arricchire il patrimonio di famiglia.
Daddo, così è altrimenti chiamato il conte, è spinto anche da un
altro progetto: quello di ritrovare, per poi dare alle stampe,
qualche scritto inedito. Adelchi, giovane editore, amico milanese del
Daddo, è, infatti, alla ricerca di un prodotto che possa sorprendere
il pubblico: un’opera, come suggerisce egli stesso, che “manifesti
la rivolta dell’oppresso”.
Il
panfilo del conte salpa alla volta della Sardegna, prosegue poi lungo
la costa spagnola, e giunge, alla fine, nei pressi di alcune isole
portoghesi. Una in particolare, non segnata sulla carta nautica,
sembra destare il suo interesse. Si tratta dell’isola di Ocaňa, un
piccolo promontorio a forma di “corno”, sulle cui spiagge Daddo
approda senza indugio, attratto dall’aspetto forse un poco sinistro
del luogo.
Qui
incontra il marchese don Ilario Jimenez, con i suoi fratelli Felipe e
Hipolito. Costoro, della casata dei Guzman, sono i proprietari
dell’isola, sulla quale vive anche un’altra creatura: trattasi di
una donna-rettile, un’iguana, per la precisione, che ha il compito
di badare all’umile dimora del marchese. Il conte Aleardo, mosso a
compassione per la sorte della servetta, decide di prendersi cura di
lei, e per fare ciò si dice disposto anche a riscattarla, per poi
condurla con sé a Milano. Nel frattempo, approfondendo la conoscenza
con Don Ilario, Daddo scopre che il marchese si diletta nella
composizione di alcuni poemi. Le sue liriche, dal sapore antico,
richiamano alla memoria ben altri capolavori, ma appaiono al conte
Aleardo meritevoli di una tale considerazione, da fargli vagheggiare
futuri successi editoriali in patria. La prospettiva di un immediato
e sostanzioso guadagno non sembra però interessare Don Ilario e i
suoi fratelli: caduti ormai in miseria, i signori dell’isola si
sono ridotti a venderla ad una facoltosa famiglia. Il contratto sarà
suggellato dal matrimonio di Don Ilario con la figlia dei ricchi
acquirenti.
L’unico
problema resta l’eventuale sistemazione dell’iguana, cui in
passato il marchese sembra essere stato molto affezionato: un
sentimento che, per misteriose ragioni, è poi mutato, fino a
trasformarsi in repulsione e ostilità, tanto da degradare l’animale
al ruolo di sguattera.
Nell’arco
di un solo giorno gli eventi precipitano, ad un punto tale da
condurre il conte alla soglia della pazzia. Egli, colto da strane
visioni, non riuscirà più a distinguere tra la dimensione della
realtà e quella del sogno. Infine, in pieno delirio, troverà la
morte cadendo nel pozzo, nell’estremo tentativo di salvare
l’iguana.
Il
simbolismo de L’iguana
coincide con la scelta
stessa dell’animale come protagonista (l’essere ambiguo, tema
caro all’Ortese, ricorrerà anche nell’altra sua famosa opera, Il
Cardillo innamorato).
Sotto svariate forme, sia che si tratti di una donna-rettile, o di un
serpente, o di una lucertola (che, sebbene in miniatura, rimanda ad
un altro essere fantastico, il drago), tutti questi animali
rappresentano l’emblema stesso del male, la sua incarnazione. È
inoltre superfluo ricordare come la natura negativa e doppiamente
tentatrice del serpente e della donna siano di chiara derivazione
cristiana. Nel caso specifico, però, l’iguana fa parte della
categoria degli oppressi, e non degli oppressori. Quasi priva della
parola (salvo qualche interiezione: i suoi “nao,
nao, nao…”), essa
accetta di buon grado quello che il destino le riserva; nel suo
sguardo - gli occhietti “scuri e dolorosi” - si può leggere
tutta la sua rassegnazione.
Paola
Azzolini1,
esaminando il testo dell’Ortese, suggerisce altre metafore: fra
queste, il pozzo, luogo spesso citato nelle antiche fiabe, che a sua
volta rimanda all’acqua, elemento cui l’iguana ineluttabilmente
appartiene. L’impossibile accoppiamento fra l’uomo e la bestia,
altro tema tipicamente fiabesco: da qui la redenzione dell’iguana,
che, grazie al sacrificio finale di Daddo, si trasformerà in una
vera e propria donna.
Questo
leggiamo nell’affettuosa e partecipe introduzione che il poeta
Dario Bellezza, amico fraterno, dedica ad Anna Maria, in un’edizione
de L’iguana
datata 1978:
“Nella
polemica fra natura e cultura la Ortese ci da in regalo questo essere
mostruoso, mezzo umano e mezzo animale, che sa soffrire e piangere
come in un’infanzia smarrita la certezza di un bene inarrivabile
anche se qualcuno pensasse di attribuirsi il Male.”2
Bellezza
si riferisce alla denuncia, neppure troppo velata, che l’Ortese
inserisce nelle prime pagine de L’iguana:
“(…) vale la pena di
accennare ad una strana confusione che dominava allora la cultura
lombarda, e condizionava perciò l’editoria, su ciò che si deve
intendere per oppressione e conseguente rivolta. (…) i Lombardi
avevano per certo che un mondo oppresso abbia qualcosa da dire (…)”
Miseria,
dolore, solitudine costellarono la vita di Anna Maria Ortese,
scrittrice autodidatta ed appartata, per quanto vincitrice di alcuni
Premi letterari. La vita e la scrittura furono per lei inscindibili,
anche se, nei rari casi in cui non riuscì ad onorare i propri
impegni, non mancò di entrare in polemica con le stesse case
editrici per cui lavorava. Questo, infatti, soleva dire di sé: “Si
scrive perché si cerca compagnia, poi si pubblica perché gli
editori danno un po’ di denaro”.
Fu
per sottrarsi alla sua triste realtà, che cercò rifugio
nell’immaginazione: la dolce, esotica storia dell’iguana ne è un
mirabile esempio.
1
Cfr. P. Azzolini.
http://www.storiadelledonne.it/attanasio/azzolini.html
2
Dario Bellezza – Introduzione a L’iguana – Rizzoli
Editore Milano 1978