lunedì 23 gennaio 2012

La doppia vita di Vermeer

TRAMA: Jan Vermeer di Delft è uno dei pittori più enigmatici, misteriosi e ambigui della storia dell'arte. Anche oggi la sua vita resta avvolta nell'oscurità, e ancor più la sua carriera artistica. Morto in disgrazia nel 1675, dimenticato per due secoli, viene riscoperto solo nella seconda metà dell'Ottocento. In breve tempo la sua fama cresce a dismisura, anche per merito dell'ammirazione che gli tributano scrittori celebri come Marcel Proust. Ma questo libro racconta soprattutto un'altra storia, la storia incredibile di Han van Meegeren, artista olandese del Novecento che, per vendicarsi dei critici che avevano stroncato il suo lavoro di pittore tradizionalista nel secolo delle avanguardie, dipinge una serie di falsi Vermeer.

RECENSIONE: Attraverso trecento anni, Luigi Guarnieri racconta la vita del pittore Jan Vermeer, proseguendo poi con quella più turbolenta di Han van Meegeren, divenuto il falsario più noto e più pagato del ventesimo secolo.
La lunga storia si snoda tra mercanti d'arte e collezionisti, pittori falliti e genii incompresi. Per prendersi gioco e vendicarsi di critici di fama mondiale, che a suo tempo lo hanno screditato come pittore, van Meegeren crea dei mirabili falsi, costruiti, è il caso di dire, a "regola d'arte". A cominciare dai colori, non sintetici, bensì prodotti secondo i metodi in uso nel Seicento. Per non parlare della tecnica di "invecchiamento" rapido dei dipinti. La maestrìa di van Meegeren consiste, infatti, nello spacciare i suoi quadri, appena realizzati, per opere risalenti ad almeno tre secoli prima. Un lavoro certosino, dove nulla è lasciato al caso. Il falsario dipinge su tele del Seicento: asporta quasi completamente il soggetto originario e riproduce, in perfetto "stile Vermeer", temi di chiara ispirazione biblica.

"Imparare a guardare, (…) è la base dell'apprendimento di qualsiasi arte, tranne la musica (…)"3

Per meglio comprendere ed apprezzare La doppia vita di Vermeer è consigliabile sfogliare, contemporaneamente, un catalogo dei dipinti del grande pittore (o fare una ricerca in internet).  L'operazione si rende utile poiché l'autore fa continui riferimenti ai particolari di ogni singola tela. Vi si descrivono minuziosamente il colore (preferiti il giallo ed il blu oltremare), il sapiente uso della luce, la prospettiva (per la quale Vermeer usava dei geniali accorgimenti).
Il racconto si fa sempre più descrittivo: una parola corrisponde, sovente, ad una pennellata. L'unione fra la letteratura e la pittura, in questo caso, è suggellata dall'ampia digressione dedicata a Proust.
Marcel Proust, nella sua Recherche, fa menzione della Veduta di Delft, uno dei quadri più famosi e controversi di Vermeer. Uno dei suoi personaggi, infatti, morirà subito dopo avere contemplato questo dipinto, nella vana ricerca di un particolare che forse non è mai nemmeno esistito.
Del resto, non stupiamoci: letteratura e pittura si sono spesso comparate, nel corso del tempo. Molti scrittori, del resto, furono anche pittori: ricordiamo, solo per citarne alcuni, Montale, Ungaretti, Moravia, Gatto, Zavattini, Buzzati, Lalla Romano.
Il fenomeno che lega il romanzo a un dipinto (o a un celebre pittore) è relativamente recente.
Autori come Buzzati e Calvino, ad esempio, hanno fatto pure loro ricorso "all'interazione fra parola ed immagine". 2 
Tracy Chevalier ha ottenuto grande successo di vendita pubblicando, per restare in argomento, La ragazza con l’orecchino di perla. Lo stesso percorso pare sia stato intrapreso da Susan Vreeland, con La Passione di Artemisia (che ha un illustre precedente in Artemisia, scritto negli anni Quaranta da Anna Banti). 3
In questa circostanza un'arte - la letteratura - si pone al servizio di un'altra arte - la pittura.
Chi è appassionato di entrambe le arti, apprezzerà in modo particolare La doppia vita di Vermeer, peraltro di godibilissima lettura.



1 F. O' Connor Nel Territorio del diavolo - Sul mistero di scrivere Ed. Minimum fax Roma 2003

2 cfr l' articolo di Francesca di Mattia, www.railibro.rai.it

3 cfr. Francesca di Mattia, articolo citato.



Titolo: La doppia vita di Vermeer
Autore: Luigi Guarnieri
Editore: Mondadori
Anno: 2004
Genere: Narrativa
Giudizio: molto buono


Il Castello d’acqua


TRAMA: "L'Esposizione torinese di cui si parla nel romanzo "Il Castello d'Acqua", che Mario Lattes (1923-2001) ha lasciato inedito tra le sue carte, è quella Universale del 1911. C'è dunque un tempo, c'è un décor, c'è una famiglia, c'è un protagonista, c'è una terza persona che racconta. Ma tutto si muove in una dimensione "altra", simbolica, di allarme e di attesa senza fine. Concepita come lo sfondo lungo il quale navigano brandelli di mondo e di figure (la Belle Époque, il fascismo, l'impero, la guerra di Spagna, le leggi razziali, la seconda guerra mondiale), la storia si converte nella dimensione visionaria del miraggio." (Giovanni Tesio)


RECENSIONE: Non è facile accostarsi alla lettura de Il Castello d’acqua. Non è facile impossessarsi delle decine, delle centinaia di parole che servono a descrivere un disagio, e che sembrano inseguire, talvolta con affanno, i ricordi.
Mario Lattes, a detta dei suoi biografi, fu un autore “scomodo”: amato dalla critica ma sconosciuto al grande pubblico.  Si cimentò anche nella pittura, e suo è il quadro (La Torre di Babele) riprodotto in copertina.
Questa è un’opera inedita, pubblicata a tre anni dalla morte del suo autore. È una storia autobiografica; quella di un ragazzo d’origine ebrea, che condurrà con successo, fino all’ultimo, la celebre casa editrice torinese “Lattes”.
Torino, appunto. La città fa da sfondo al racconto delle vicende di Agur e dei membri della sua famiglia. Il capoluogo si riconosce nella descrizione dei palazzi, nella quasi maniacale elencazione delle vie, il cui nome, in parte, non esiste più: il tempo ha provveduto a cancellarlo e a sostituirlo.
Torino ha dato i natali a grandi scrittori; fra questi, Cesare Pavese, Primo Levi, Pitigrilli. Gli ultimi due erano di origine ebrea, come lo fu Natalia Ginzburg, palermitana, ma torinese di adozione. Superfluo aggiungere che la comunità ebrea, in Italia e nel resto del mondo, ha sempre prodotto cultura: “L'abitudine a leggere, scrivere e studiare agevola l’integrazione con la cultura circostante”.1
Anche la Storia fa da sfondo al romanzo di Lattes, che inizia con una data precisa, quella dell’Esposizione Universale di Torino, nel 1911. I suoi protagonisti si aggirano fra i padiglioni della grande Mostra, perdendosi e ritrovandosi; e muovendosi quasi in una dimensione onirica, là dove invece imperano la realtà, il Progresso.
E poi la Storia: la Grande Guerra, il ventennio fascista prima e le leggi razziali poi, fino alla fuga di Lattes/Agur, e la sua salvezza (troverà rifugio a Roma, e sarà più fortunato di tanti altri ebrei che saranno invece deportati).
Questi importanti avvenimenti fanno da cornice ad una narrazione complessa e sofferta.
La scansione temporale è data, piuttosto, dalla minuta descrizione (a volte impietosa, come può esserlo quella di un giovane, di fronte alla vecchiaia) fatta da Agur sull’incanutirsi delle chiome e l’avvizzirsi della pelle dei propri cari. Anche l’elenco dei diversi arredi: “… stoffa che foderava la toilette, velata di tulle bianco a incrostazioni di mussola (…)” e “ (…) già presenti il sofà Covercover in Rofoam strato isolante di Dacron (…) le sedie accatastabili in Cyclac rosso.” indica, senza dover ricorrere ad altre parole, il trascorrere del tempo.
Agur appare insofferente alle regole, talvolta distaccato, insensibile nei confronti dell’altrui sorte. Nei ricordi dell’autore si affastellano frasi ascoltate e ripetute per anni dai congiunti o dagli amici di famiglia, motti e gesti che si sono poi conservati nella sua memoria: inevitabile il richiamo a quel Lessico familiare della già citata Ginzburg, che peraltro trascorse parte della sua vita proprio nella Via Pallamaglio (ora Via Morgari) citata dallo stesso Lattes.
Il nostro autore racconta una familiarità che è tutta contenuta nel rito pasquale delle azzime, nella lettura dei versi al Tempio, nella scelta del vestiario.
La difficile punteggiatura, le esclamazioni che erompono a metà pagina, il balletto dei caratteri minuscoli e maiuscoli non impauriscano il lettore.
Della scrittura di Lattes ci si può lentamente impossessare. Centellinandola, assorbendola.
Allo stesso modo si può fare con la storia della sua vita.



Titolo: Il Castello d’acqua 
Autore: Mario Lattes
Editore: Aragno
Anno: 2004
Genere: Narrativa
Giudizio: Buono